C’era da aspettarselo, Piracy Shield ha quasi raggiunto il numero di IP, che per accordi, era stato fissato al fine di evitare il blocco dell’intera rete Internet Italiana.
Con un accordo stipulato con gli ISP (Internet Service Provider), durante i primi tavoli tecnici quando la Piattaforma non era ancora in funzione, Agcom si impegnava a bloccare non più di 18.000 Fqdn (fully qualified domain name, ossia indirizzi Web univoci che individuano una certa e specifica risorsa Online) e 15.000 indirizzi IP Ipv4.
Tale accordo è stato stipulato per evitare di sovraccaricare le strutture ISP ma soprattutto per evitare che gran parte delle risorse Internet potessero non essere più raggiungibili dall’Italia, e con questo si intende le risorse lecite e non necessariamente i siti considerati illegali.
Nei 5 mesi di attività (da Febbraio ad oggi) di Piracy Shield oltre ai siti illegali, sono stati in realtà bloccati molti siti che con la pirateria non hanno nulla a che fare, siti di attività commerciali, scuole, siti di assistenzialismo o di volontariato etc..
Questo errore, nonostante gli allerta degli specialisti IT lanciati ben prima dell’avvio della piattaforma e di fatto inascoltati, è frutto di un’asserzione sbagliata secondo cui ad un indirizzo IP corrisponda un dominio/DNS/Server.
Di fatto Piracy Shield ha proseguito su questa linea accorgendosi con il passare delle settimane che oggi il Web ed Internet in generale è invece lontanissimo da questo concetto.
Con l’avvento, la propagazione e l’uso dei CDN (Content Delivery Network) a cui la stragrande maggioranza dei siti esistenti sul web si affida, il concetto 1 IP = 1 Dominio non è più valido ma l’equazione è diventata 1 IP = decine di migliaia di domini (siti).
Ecco perchè se blocco un IP che risulta associato ad un dominio che porta ad un sito illegale in realtà sto bloccando altre migliaia di siti che condividono lo stesso IP sul Network del CDN.
Il blocco di un IP o di un DNS da parte di Piracy Shield avviene in modo automatico a seguito di una segnalazione ed in tempi brevissimi (i famosi 30 minuti), ma la piattaforma stessa per come è stata concepita una volta bloccato un sito il blocco diventa definitivo e non revocabile (tecnicamente).
Qui nascono i problemi che hanno generato le motivazioni della richiesta da parte di Agcom al Governo Italiano (che pare debba avvenire ufficialmente entro l’estate 2024) di modificare la legge e la piattaforma in modo che il blocco non possa più essere definitivo ma temporaneo e che ad Agcom venga rilasciata la facoltà di sbloccare l’IP (che allo stato attuale non ha poteri per fare) nel momento in cui ci si renda conto che non abbia corrispondenze con atti di Pirateria od a seguito del ricorso/richiesta del titolare del sito bloccato erroneamente.
Ricorso che allo stato attuale prevede sia fatto entro 5 giorni dalla data del blocco anche se Agcom non è tenuta a comunicare il provvedimento ed un titolare potrebbe anche non accorgersi dell’impossibilità di raggiungere il suo sito da suolo Italiano o chiedersi come mai fino a ieri era accessibile ed oggi no.
Se e quando verranno modificate legge e Piattaforma l’aurea di Piracy Shield sarò gioco forza notevolmente ridimensionata ed il sistema diverrà un “normale” strumento di contrasto alla pirateria come ce ne sono già a decine, se non altro si eviteranno blocchi indiscriminati a siti leciti e legittimi senza che i proprietari debbano fare i conti con perdite economiche e commerciali oltre che di reputazione. E che si scongiuri il rischio di querele o cause civili dai costi e conseguenze gravi.
E’ risaputo che chi opera illegalmente in casi come questo ad IP bloccato sposta baracca e burattini su di un ‘altro IP fino al prossimo blocco e così via. Ci auguriamo che questa legge e questa piattaforma creino invece un senso comune di contrasto alla pirateria ed all’illegalità per coscienza sociale e civile e che non basti uno spot con un noto ex calciatore o la minaccia di multe salate, ma una campagna ed informazioni più complete e condivise.
spunto e fonte dati Wired.it